Le origini della Canapa

Pianta dalla storia antichissima che come specie distinta è apparsa sul pianeta circa 38 milioni di anni fa, accompagna da sempre l’esistenza dell’uomo: lo dimostrano diversi ritrovamenti archeologici disseminati lungo un arco di tempo di almeno 12.000 anni. Ne sono un esempio semi fossilizzati e strumenti per la sua lavorazione trovati in Romania, la pittura di una foglia di canapa rinvenuta dentro una cava in Giappone sull’isola di Okinoshima, quello di vasi di terracotta trovati nell’isola di Taiwan decorati con strisce di canapa pressate nella creta ancora fresca, il ritrovamento di un piccolo pezzo di tessuto in fibra di canapa trovato nella zona di Catal Huyuk in Turchia. Pipe ad acqua con al loro interno residui di cannabis trovate in Etiopia o papiri Egizi prodotti dalla lavorazione della canapa. A conferma della provenienza orientale abbiamo anche uno studio chemiotassonomico piuttosto recente che fa risalire il ceppo originario di Cannabis da una regione dell’Asia centrale che si estende dal Nord-Ovest dell’Himalaya fino alla Cina, dove si pensa sia sta addomestica per la prima volta. Da qui successive migrazioni ne hanno permesso la diffusione in tutto il mondo a partire dal 2000 a.C., anche se come vedremo nei prossimi articoli è molto probabile che ceppi spontanei fossero presenti anche nel mediterraneo nello stesso periodo.

Non sono pochi i cenni storiografici che menzionano l’utilizzo della Canapa nell’antichità: per cominciare è già presente nell’antico testamento con il nome di kanna-boms da cui derivano sia il termine semitico kanabos e quello scita cannabis. Parole la cui origine si fa risalire al regno di Assurbanipal (VI secolo a.C.) grazie al ritrovamento di una tavoletta assira appartenetene alla sua collezione privata dove è presente il termine qunubu o qunapu simile ai termini semitici e sciti. Questo è un fatto che suggerisce come l’etimologia del termine “cannabis sativa” -così indicata per la prima volta da Dioscoride nel suo Materia medica- vada cercata nelle civiltà dell’Asia minore. Un’ulteriore prova in questa direzione viene da Erodoto di Alicarnasso (484 a.C – 430 a.C.) che nel “IV libro delle Storie”, testimonia che durante i rituali funerari “foglie secche di cannabis venivano gettate su braci ardenti, provocando grosse nuvole intossicanti”.

In Cina si coltivava già nel 4000 a.C. per la produzioni di carta e indumenti, a scopi religiosi e medicinali, al punto da essere inclusa nell’antica farmacopia cinese Shénnóng Běncǎo (2800 a.C.) durante il regno di Shen Nung. In questo trattato di medicina tradizionale che raccoglieva l’esperienza di millenni di pratica medica venivano prese in considerazione tutte le parti della pianta: i fiori preparati in un decotto erano impiegati per trattare i reumatismi, costipazione intestinale, disturbi ginecologici, malaria e mal di testa. I semi per contrastare dolori mestruali, indigestione, debolezza intestinale, vomito, intossicazioni e diarrea. Invece per le malattie della pelle, ulcere e ferite si utilizzava l’olio.

La canapa ha una storia importante anche in India dove venne studiata e utilizzata sia nel campo della medicina che in quello religioso. Testi tradizionali come l’Atharva Veda, Rig-Veda e Susruta(1400-1000 a.C.) testimoniano l’uso di una sostanza usata nelle cerimonie religiose e meditative chiamata soma, i cui effetti fanno pensare alla canapa o che almeno dovesse essere uno degli ingredienti principali. Altri esempi arrivano dai testi di medicina Ayurvedica: nota come vijaya o siddhi nella cura Vajikarana veniva utilizzata come vettore in grado di accrescere l’efficacia dei preparati e renderli più assimilabili dall’organismo ed era preparata in modi diversi a seconda dell’uso che se ne faceva o il disturbo che si doveva curare: come bhang, estratto liquido dalla lavorazione delle foglie, come Ganja quando doveva essere inalata e infine come Charas, estratto dalla resina e dal forte principio psicoattivo, che si faceva assimilare disciolto in altre sostanze. Grazie alla canapa si curavano disturbi come l’Ipertensione, il Glaucoma, si utilizzava come diuretico, cicatrizzante, efficace contro le infezioni cutanee e la mancanza di appetito, nel risolvere problemi digestivi, disfunzioni sessuali, dolori premestruali e insonnia. Anche il mito ci racconta che Siddharta Gautama si nutrì esclusivamente dei suoi semi durante la meditazione che lo portò all’illuminazione, o che “prodotta in forma di nettare mentre gli dei agitavano le acque con il monte Mandara, la cannabis divenne la bevanda preferita da Indra al punto che decise di inviarla sulla terra così da far provare euforia, perdita della paura ed eccitazione sessuale anche agli esseri umani”.

Ma i riferimenti non finiscono qui e possiamo trovarne testimonianza anche tra i Frigi, popolazione della Turchia occidentale il cui regnò raggiunse la massima espansione intorno al VII secolo a.C., che la utilizzava per fare tessuti, come testimoniano i ritrovamenti nei pressi di Ankara, nei tumoli funerari limitrofi la capitale Gordio (oggi Yassıhüyük in Turchia). Anche Esseni ed Egiziani si pensa ne facessero uso in medicina e cerimonie religiose prendendo spunto dalle antiche pratiche dei persiani seguaci dello Zoroastrismo(1000 a.C.). Ma l’utilizzo della canapa non si limitò all’Africa Settentrionale tanto che diverse tribù delle zone centro-meridionali cominciarono a ritenerla un medicamento essenziale. Pigmei, Zulu e Ottentotti la usavano per trattare i crampi, per mitigare attacchi epilettici, gotta e altre malattie. Presso i Balouba , tribù Bantu del Congo belga, riti e incontri tribali, feste e trattati di alleanza venivano celebrati fumando hashish e foglie di cannabis: considerata una pianta sacra l’uso era però riservato solo agli uomini di medicina e i sacerdoti.

In conclusione possiamo affermare che la coltivazione della canapa era un’opzione desiderabile, culturalmente diffusa e produttivamente vantaggiosa nell’antichità delle popolazioni Sumere, Accadiche, Egizie, Africane, Cinesi, Indiane, Giapponesi e Persiane, il cui centro di maggiore sviluppo in occidente fu probabiliste lo stesso della civiltà moderna, all’interno di quell’area geografica chiamata mezzaluna fertile. La diffusione mondiale la si deve soprattutto alle sue caratteristiche uniche: la canapa è una pianta che non ha bisogno di essere alternata ad altre culture, che non impoverisce il terreno e non ha bisogno di molto spazio per crescere. E nessuna altra specie vegetale possiede tutte queste qualità assieme, rendendola di fatto la pianta ideale da coltivare per tutte quelle popolazioni che non avevano ancora maturato conoscenze specifiche nel campo dell’agricoltura o che non avevano la capacità di utilizzare sementi più delicate e difficile da sostenere. La canapa infatti non ha bisogno di frequenti innaffiature se non durante la fase germinativa e data la sua adattabilità e resistenza può crescere facilmente ovunque.

È una pianta che da molto e in cambio chiede molto poco.

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